Genitorialità

Genitorialita'

“Il contatto amorevole non ha bisogno di molto tempo. Ha bisogno, però di molta consistenza”

(Jaak Panksepp)

“Se un membro conosciuto del tuo gruppo ti chiede aiuto, offrilo – e offrilo con particolare sollecitudine se a chiederlo è un tuo discendente genetico” (sistema di accudimento, Liotti, 2005).

“Non esisterebbero mammiferi sulla faccia della Terra se i loro cervelli e i loro corpi non fossero preparati a investire enormi quantità di tempo e di energia nella cura della loro prole, che non sarebbe in grado di sopravvivere senza tale devozione. L’investimento delle attenzioni materne non è lasciato al caso: si fonda su di un solido insieme di impulsi cerebrali istintivi all’accudimento dei neonati e alla creazione di legami con essi” (sistema della cura, Panksepp, 2014).

È stato identificato uno specifico circuito cerebrale in cui ha la sua sede questo sistema che porta ai comportamenti di accudimento che, pertanto, é innato sia nei mammiferi che negli uccelli, ma completa la sua maturazione durante la crescita, maturazione che, negli esseri umani, giunge al suo termine alla fine dell’adolescenza. Sostanze come l’ossitocina e gli oppioidi endogeni, responsabili della sensazione di benessere, promuovono l’accudimento, così come la dopamina é responsabile dei comportamenti di ricerca finalizzati alla creazione dello spazio destinato ad accogliere il nascituro, così come al monitoraggio dei suoi movimenti nell’ambiente, dopo la nascita.

Perché le cure materne possano essere pronte ed efficaci, responsive rispetto ai bisogni del bambino, il contesto interpersonale deve essere sereno e di supporto, sia nel nucleo familiare che nella rete sociale al di fuori di esso e, allo stesso modo, deve essere sereno il mondo interno del genitore. La presenza di lutti e traumi non risolti e/o di una storia di attaccamento insicuro o disorganizzato ostacolano la missione genitoriale, che dovrebbe essere caratterizzata, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, dal sentimento di devozione per il piccolo, cioè da quell’amorevole dedizione incondizionata e quasi mistica che porta un genitore a mettere volontariamente in secondo piano le proprie necessità in favore di quelle del figlio. Quando viene vissuta appieno, la devozione genitoriale è molto gratificante e procura gioia.

Studi su modelli animali hanno dimostrato che l’abbondanza di cure materne, che si manifestano attraverso il contatto fisico ritmico e ripetuto, rende i cuccioli meno ansiosi e meno sensibili allo stress in età adulta e più predisposti ad imparare comportamenti utili. Questo é documentato dalla riduzione dell’ormone dello stress e dell’aumento dei recettori per le sostanze chimiche che facilitano l’apprendimento (norepinefrina e glutammato). Inoltre, chi é stato rifornito di cure materne riesce a provare compassione per se stesso ed empatia per gli altri, a comprendere i propri bisogni e i bisogni degli altri.

Per essere un genitore “devoto”, é necessario occuparsi di quei bisogni che, da bambino, sono rimasti insoddisfatti, sia in situazioni di quotidianità che in occasione di eventi traumatici. In caso contrario, le inefficaci modalità di risposta a questi bisogni tendono a tramandarsi di generazione in generazione. L’accudimento primario genitoriale si esprime attraverso il contatto fisico morbido e ripetuto (come nelle carezze, nel cullare, nell’abbraccio), non necessita di grandi discorsi, né di eroiche azioni, né di intelligenti soluzioni ai problemi della vita. Non sempre un adulto ha a disposizione delle risposte pratiche, ma anche qualora le abbia, tutto questo viene dopo, dopo che il disagio emotivo sia stato efficacemente calmato nella vicinanza protettiva del genitore con il figlio. Eppure questa vicinanza, apparentemente semplice da offrire, può essere ostacolata in molti modi e il genitore può sentirsi fallito nel suo ruolo, con enorme frustrazione e infelicitá. Per comprendere quali possano essere questi ostacoli, é necessario esplorare con il genitore il tema della vicinanza protettiva e dell’accudimento nella sua storia personale.

Un genitore con stile di attaccamento evitante rifiuta il figlio o lo invita a tenersi a distanza ogni qualvolta egli esprima il bisogno di vicinanza e conforto, poiché avrà visto, nell’infanzia, quei suoi stessi bisogni svalutati dai propri genitori e non avrá imparato a provare compassione né per se stesso né per gli altri, né disporrá di un modello appreso per gestire le emozioni spiacevoli, che potranno essere soltanto negate, minimizzate, messe da parte.

Un genitore con stile di attaccamento ambivalente puó accogliere il figlio nel momento in cui esprime il bisogno di protezione, raggiungendo anche il contatto fisico, per poi diventare imprevedibilmente non disponibile oppure per poi ostacolare i suoi comportamenti esplorativi di allontanamento, fornendo una vicinanza protettiva prolungata, nel momento in cui il bambino non ne ha più bisogno. Questo genitore non avrá ancora risolto le dinamiche conflittuali con le proprie figure di attaccamento e non riuscirá a percepire il figlio come entità autonoma e separata da sé. Avrà avuto, a sua volta, una figura di attaccamento imprevedibile, cioè a volte responsiva, a volte non responsiva, di fronte ai suoi bisogni di conforto, ma anche una figura intrusiva, cioè limitante rispetto ai suoi bisogni di esplorazione, e non avrá appreso alcuna strategia per calmare definitivamente il disagio.

Un genitore con lutti o traumi non risolti, nel momento in cui viene sollecitato nell’accudimento dal figlio bisognoso, si collega con i suoi ricordi traumatici o con i frammenti di quelle memorie, restandone assorbito ed estraniandosi rispetto all’interazione presente col figlio. Per questo genitore, il disagio del figlio diventerà il proprio disagio, di fronte al quale si disorienterà, sperimentando sentimenti di impotenza, poiché non avrà appreso strumenti idonei dai propri genitori. Questo avviene di solito in tre tipi di situazioni:

1) quel genitore proviene da un contesto di attaccamento insicuro, in cui i comportamenti di accudimento erano scarsi (attaccamento evitante) o intermittenti (attaccamento ambivalente), per cui non é stato supportato nell’elaborazione di eventi traumatici, qualora siano accorsi nell’infanzia o nell’adolescenza, né possiede strategie efficaci per affrontarli, qualora si verifichino in età adulta;

2) gli eventi traumatici che quel genitore ha subito risalgono all’infanzia o all’adolescenza ed erano di tale portata e intensità, da impattare gravemente anche sulle sue figure di attaccamento, che non potevano più essere di supporto (si pensi, come esempio, a situazioni in cui uno dei due genitori muore o si ammala gravemente);

3) le stesse figure di attaccamento erano la fonte di maltrattamento e abusi nell’infanzia e nell’adolescenza.

Un genitore con stile di attaccamento sicuro, invece, risponde con prontezza quando il figlio esprime un disagio e riesce a calmarlo, poiché avrà visto, nell’infanzia, sia il proprio bisogno di conforto, sia il proprio bisogno di esplorazione corrisposti dai propri genitori e avrá imparato a riconoscerli e a soddisfarli da adulto, divenendo capace di empatizzare anche con gli stessi bisogni del figlio. Disporrá, inoltre, di un modello appreso efficace per la gestione delle emozioni spiacevoli e per il superamento di eventi traumatici, arricchito dalla capacità di riflettere su di sé e i suoi stati mentali, sulle proprie esperienze e sulla propria storia di attaccamento in maniera coerente e costruttiva.

Lavorare sulla genitorialità significa riuscire a far riemergere dai detriti lasciati da traumi non elaborati e da storie di attaccamento insicuro, quelle competenze di accudimento innate nel nostro cervello, perché selezionate dall’evoluzione per la sopravvivenza della specie. L’intervento previsto con i genitori ha due fuochi:

1) l’elaborazione di quei traumi e di quelle interazioni disfunzionali precoci con le figure primarie di attaccamento che possono interferire negativamente sia nella relazione con il proprio figlio (e nella difficoltà nel riconoscere e soddisfare i suoi bisogni), sia nel sentirsi competente come genitore, sia nel trovare l’accordo col partner sullo stile educativo;

2) lo svelamento e la presa di coscienza di quelle risorse di cui il genitore giá dispone, utilizzando delle sedute interattive genitore-bambino, seguite dal potenziamento di quelle stesse risorse con l’EMDR. Questo rinsalda il legame di attaccamento tra i genitori e il bambino, consentendo loro di sperimentare la sicurezza e la fiducia.

In fase valutativa, gli strumenti come l’Adult Attachment Interview (AAI, George e collaboratori, 1987), la Parent Development Interview-Reflective Functioning (PDI-RF, Slade e collaboratori, 2005), il Lausanne Trialogue Play clinico (LTPc, Malagoli Togliatti e Mazzoni, 2006) sono utili, rispettivamente, a individuare lutti e traumi non risolti nei genitori, ad identificare i loro stili di attaccamento e di accudimento e a far emergere le risorse e le criticità del sistema familiare e della coppia genitoriale, in modo da strutturare un piano di intervento mirato ed efficace.

BIBLIOGRAFIA

Liotti G. (2005). La dimensione interpersonale della coscienza. Seconda edizione, nona ristampa. Carocci Editore, Roma.

Panksepp J. (2014). Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane. Raffaello Cortina Editore, Milano.