Disturbo Post Traumatico da Stress

Disturbo Post Traumatico da Stress

“Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle, sembra che siano così belle”

                                                                                                                                                                    (Antoine de Saint-Exupéry)

Quando un individuo sperimenta direttamente la minaccia alla vita e all’incolumitá fisica propria o altrui (morte, gravi lesioni o violenza sessuale) o apprende della morte o della minaccia di morte di una persona cara o viene esposto ripetutamente a scene di morte cruente, può sviluppare un Disturbo da Stress Post-Traumatico (Post-Traumatic Stress Disorder – PTSD). Con grande frequenza, la morte per suicidio di una persona cara genera nei superstiti un PTSD.

Il PTSD è caratterizzato da:

1) almeno un sintomo intrusivo: ricordi involontari dell’evento, sogni ricorrenti sull’evento, reazioni dissociative come i flashback, in cui ci si sente come se l’evento stesse accadendo di nuovo, riattivazione emotiva intensa di fronte a stimoli ambientali che richiamano l’evento;

2) almeno un sintomo di evitamento attivo degli stimoli associati all’evento: tentativi di evitare ricordi, pensieri o emozioni associati, tentativi di evitare persone, luoghi, conversazioni, attività, oggetti, situazioni legati all’evento;

3) almeno due alterazioni negative di pensieri ed emozioni associati all’evento: incapacità di ricordare alcuni aspetti dell’evento traumatico, convinzioni fortemente negative di di sé, sugli altri o sul mondo, pensieri distorti sulle cause e le conseguenze dell’evento, come l’attribuirsene la colpa, emozioni negative persistenti, riduzione di interesse e partecipazione alle attività, distacco verso gli altri, incapacità di provare emozioni positive;

4) almeno due tipi di alterazioni marcate dell’arousal (stato di attività e vigilanza): irritabilità ed esplosioni di collera, comportamenti rischiosi, stato di allarme e reattività estrema, disturbi di concentrazione, disturbi del sonno.

Quando questi sintomi persistono oltre 1 mese dall’evento, si parla di PTSD, prima di allora si parla di Distrubo da Stress Acuto.

Peculiaritá del PTSD nel bambino

Il PTSD insorge, con maggiore frequenza rispetto al trauma subito direttamente, quando il bambino viene esposto direttamente o indirettamente (attraverso i racconti della notizia) di un evento traumatico accaduto alle figure di riferimento primarie, come i genitori. Questo accade perché la principale fonte di sicurezza per il bambino é il genitore per cui, se il genitore é al sicuro ed é tranquillo, protegge il figlio dallo stress traumatico, offrendo aiuto e conforto mentre, se il genitore é a rischio di vita o viene a mancare, il bambino si sente solo e perso e, di fronte al pericolo, può reagire soltanto con reazioni estreme, come la fuga o, più spesso, il congelamento e l’estraniamento dalla realtà. Se il bambino assiste direttamente alla morte o a una qualsiasi forma di violenza esercitata sulle figure di attaccamento primarie, può sviluppare una forte sofferenza con la sperimentazione di vivide esperienze sensoriali e immagini mentali intrusive intorno alla tematica della morte.

Peculiaritá dei sintomi intrusivi nel bambino

Possono non essere facilmente riconoscibili e comparire sotto forma di gioco ripetitivo (gioco realistico che contiene elementi dell’evento traumatico senza una risoluzione), così come gli incubi possono non apparire direttamente correlati all’evento o può essere difficile verificarlo. I flashback possono intrudere nel gioco sotto forma di frammenti di informazioni non inerenti alla tematica del gioco, ma riferibili all’evento (per es. rappresentazione di scene, riproduzione di suoni o rumori), mentre il bambino può apparire estraniato dall’ambiente circostante. Il bambino piccolo può presentare, inoltre, marcate reazioni fisiologiche di fronte a stimoli che richiamano l’evento (vomito o inappetenza, dolori addominali, perdita del controllo sfinterico precedentemente acquisito).

Peculiaritá delle alterazioni negative dei pensieri nel bambino

Ridotto interesse e partecipazione ad attività di gioco e ritiro sociale.

Altre caratteristiche tipiche del PTSD nel bambino

Possono presentarsi regressioni nello sviluppo a tappe precedenti: infantilismo nel linguaggio, tendenza a farsi imboccare, ritorno al succhiotto o al biberon, ansia di separazione dalle figure di accudimento, necessità di contatto fisico con il genitore per addormentarsi, ritorno di paure che erano già state superate (come l’angoscia per gli estranei) o comparsa di nuove paure che non sembrino correlate all’evento traumatico, arresto nello sviluppo psicomotorio, ricomparsa di pavor nocturnus. I bambini, inoltre, possono collocare le situazioni relative all’evento traumatico in ordine errato e i bambini in età scolare possono arrivare a pensare che ci fossero dei segni a preannunciare l’evento traumatico, per cui sviluppano un senso di allerta molto spiccato per cogliere quei segnali che potrebbero annunciare che accada di nuovo (omen formation)

Lo sviluppo di PTSD dipende dai seguenti fattori:

1) tipo di evento e sua intensità (gravità dell’impatto, coinvolgimento di più persone, grado di violenza, imprevedibilità);

2) prossimità fisica al luogo dell’evento;

3) visione di scene cruente;

4) durata o ricorrenza dell’evento nel tempo;

5) caratteristiche della persona, come l’età (più é precoce, maggiore é il rischio) e le risorse interiori (che costituiscono fattore protettivo);

6) supporto sociale più o meno presente;

7) precedente esposizione ad eventi traumatici, qualora non siano stati elaborati e, soprattutto, qualora presentino qualche aspetto simile all’evento considerato;

8) stile di attaccamento, poiché uno stile di attaccamento sicuro riduce la probabilità di sviluppare  un PTSD, mentre lo stile di attaccamento insicuro (evitante o ambivalente) e la disorganizzazione dell’attaccamento costituiscono fattori di rischio.

Lo stile di attaccamento identifica la gamma di rappresentazioni di sé, degli altri e del mondo, che sono definiti Modelli Operativi Interni (MOI), che guidano i comportamenti in situazioni di bisogno, minaccia e pericolo. Nel cervello esiste un sistema innato per la ricerca della vicinanza protettiva di una figura “più forte e più saggia”, nel momento in cui si sperimenta vulnerabilità ed é il sistema dell’attaccamento. Nel bambino questo sistema si attiva di frequente e lo porta a ricercare  l’adulto di riferimento nel momento del bisogno. A seconda di come il genitore risponderà a questa richiesta, si formeranno, nella mente del bambino delle rappresentazioni positive o negative di sé e dell’altro, che si sovrapporranno al sistema dell’attaccamento e si attiveranno ogni volta che si attiverà il sistema con una corrispondente strategia comportamentale.

Le risposte del genitore possono essere raggruppate in quattro categorie, ciascuna delle quali corrisponde ad uno stile di attaccamento (link con genitorialitá).

Se il genitore è distanziante respinge la richiesta di aiuto o si mostra ostile o, semplicemente, non é disponibile, il bambino sviluppa il MOI tipico dell’evitante, caratterizzato da un’immagine di sé come di un individuo poco degno di attenzione. Tale idea tenderà a persistere anche in età adulta, a meno che non si facciano ripetute esperienze con figure di attaccamento che offrano risposte diverse. Cosa accade all’evitante, nel momento in cui si troverà ad affrontare un evento traumatico? Nel momento in cui si attiverà l’attaccamento, si attiverà il bisogno di cercare una figura di conforto, ma allo stesso tempo si attiveranno, a livello inconsapevole, i MOI: “non sono degno di ricevere aiuto; gli altri non sono disponibili a fornirmi aiuto”. Questi MOI orienteranno la strategia comportamentale verso l’autosufficienza, attraverso lo sforzo attivo di evitare la vicinanza con l’altro, impegnandosi in qualcosa di pratico e concreto (il gioco, lo studio, lo sport, il lavoro, altri tipi di esplorazione), mettendo, così, da parte le emozioni spiacevoli come la paura. In quale modo lo stile evitante costituisce fattore di rischio per lo sviluppo del PTSD? Tutte le informazioni negative associate al ricordo traumatico (immagini, pensieri, emozioni, sensazioni fisiche) vengono imprigionate in reti di memoria a se stanti e non verranno mai trasformate in una soluzione adattiva per una buona qualità di vita.

Se il genitore è ambivalente, a volte respinge la richiesta di aiuto, mentre altre volte risponde positivamente, ma senza una regola precisa. Il bambino sviluppa il MOI tipico dell’ambivalente (o resistente), caratterizzato da due immagini distinte di sè, che si alternano: un’immagine di sé come di un individuo poco degno di attenzione (come nell’evitante); un’altra immagine di sè come di un individuo degno di attenzione (come nell’ambivalente). Nel tempo, si sovrapporrà anche l’idea di non essere autonomo e di aver bisogno di essere controllato dall’altro in modo passivo (per non procurargli emozioni spiacevoli o per procurargli emozioni gratificanti) e di dover controllare l’altro, per garantirsi la massima vicinanza affettiva possibile. Tutto questo avviene anche da adulti, a meno che non si facciano esperienze di attaccamento diverse. Cosa accadrà all’ambivalente, nel momento in cui si troverà ad affrontare un evento traumatico? Nel momento in cui si attiverà l’attaccamento, si attiverà il bisogno di cercare una figura di conforto, ma allo stesso tempo si attiveranno, a livello inconsapevole, i suoi MOI contrapposti: “non sono degno di ricevere aiuto/posso ricevere aiuto; gli altri sono/non sono disponibili a fornirmi aiuto”, in un conflitto irrisolvibile, poiché questi MOI orienteranno la strategia comportamentale, che si giocherà nel controllo reciproco con l’altro, con sviluppo di dipendenza e inibizione della libera esplorazione,   senza arrivare mai a uno stato di calma, ma arrivando invece alla rabbia, con aumento del disagio. In questo caso, tutte le informazioni associate al ricordo traumatico (immagini, pensieri, emozioni, sensazioni fisiche) non verranno mai elaborate completamente e resteranno congelate come nel momento del trauma, poiché si perderanno nella conflittualità della relazione attuale con gli altri significativi.

Se il genitore ha lutti e traumi irrisolti, può intimorirsi di fronte alla richiesta di aiuto, anche se non si mostra rifiutante, e intimorire il bambino (genitore spaventato/spaventante), che potrebbe ritenersi la causa della paura del genitore e potrebbe notare che il genitore riceve conforto dalla sua vicinanza oppure il genitore stesso potrebbe chiedere attivamente un accudimento al figlio (inversione di ruolo genitore/figlio). Il bambino sviluppa i MOI tipici della disorganizzazione, con immagini molteplici, frammentarie e incoerenti di sè e dell’altro, simultanei: “sono accettabile, l’altro è disponibile”; “sono impotente, l’altro è minaccioso”, “sono pericoloso, l’altro è una vittima”; “sono debole e indifeso, l’altro è debole e indifeso, il mondo è minaccioso”; “sono onnipotente, l’altro è indifeso”; “sono incapace e colpevole, l’altro è indifeso/opprimente” (costrutto del triangolo drammatico, link con disorganizzazione dell’attaccamento). Cosa accadrà all’individuo con disorganizzazione, nel momento in cui si troverà ad affrontare un evento traumatico? Nel momento in cui si attiverà l’attaccamento, si attiveranno, a livello inconsapevole, i suoi molteplici e contraddittori MOI, talmente inconciliabili da poter indurre uno stato alterato di socienza simile alla trance, con vuoti di memoria. Questi MOI producono strategie comportamentali caotiche ed incompatibili, con irrisoluzione del disagi, poiché si percepisce se stesso o l’altro oscillando tra immagini di vittima/salvatore/persecutore. In questo caso, tutte le informazioni associate al ricordo traumatico (immagini, pensieri, emozioni, sensazioni fisiche) non verranno mai elaborate e andranno a rinforzare i MOI della paura senza soluzione.

L’EMDR (link con sito EMDR) è il metodo evidence-based per la risoluzione del PTSD, consigliato dalle linee guida internazionali, con cui è possibile lavorare in maniera mirata sul ricordo traumatico che ha generato il PTSD, già dopo un mese dall’evento, focalizzandosi, sin dall’inizio, su:

  • le convinzioni negative e positive su di sé;
  • le diverse modalità di strutturazione dell’esperienza (i diversi canali sensoriali, emotivi, cognitivi e corporei);
  • il continuo cambiamento di intensità delle emozioni;
  • le diverse prospettive che appartengono al passato, al presente e al futuro.

Oltre al ricordo traumatico responsabile dell’esordio del PTSD, è possibile lavorare sui ricordi simili precedenti, sulle relazioni di attaccamento insicure o disorganizzate.

BIBLIOGRAFIA

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Verardo A.R. E Lauretti G. (2014). Disturbo Post-Traumatico da Stress e EMDR in età evolutiva. In: Lambruschi F. (a cura di), Psicoterapia cognitiva dell’età evolutiva. Procedure di assessment e strategie psicoterapeutiche. Seconda Edizione. Bollati Boringhieri, Torino.

Verardo A.R. e Lauretti G. (2016). Il lutto in età evolutiva. In: Verardo A.R., Attaccamento traumatico: il ritorno alla sicurezza. Il contributo dell’EMDR nei traumi dell’attaccamento in età evolutiva. Giovanni Fioriti Editore, Roma.