Disturbo Borderline di Personalità

Disturbo Borderline di Personalità

Impulsività, idealizzazione e svalutazione continua e alternata di sè e degli altri, sentimenti di vuoto, crisi di rabbia, autolesionismo e comportamenti auto-distruttivi, relazioni intense ed instabili, angoscia abbandonica alla separazione da figure significative, vulnerabilità ad eventi di vita avversi. Queste sono le caratteristiche più evidenti con cui si presentano gli individui con personalità borderline.

Quello che manca, nell’esperienza di vita di questi soggetti, è un filo conduttore. Tali esperienze emotive mancano di coerenza e di connessione, così come manca un senso unitario di sè che le organizzi, attribuendo loro un significato. Il risultato è un caos nelle rappresentazioni mentali di sè e dell’altro, che rende impossibile interpretare la realtà e comprendere gli stati mentali propri e le intenzioni altrui, per poter poi indirizzare i propri comportamenti verso un fine utile alla realizzazione personale.

Alla base di questa molteplicità di rappresentazioni e di significati, vissuti come disconnessi tra loro, spesso c’è la disorganizzazione dell’attaccamento, che spiega anche la difficoltà di regolazione emotiva di questi individui, per cui fanno spesso ricorso a droghe, alcool, abbuffate alimentari oppure inibiscono totalmente l’emotività, arrivando a provare un tipico senso di vuoto interiore.

La disorganizzazione dell’attaccamento non è l’unico fattore che spiega l’insorgere di tale disturbo, è probabile che influiscano anche traumi sopraggiunti in seguito alla disorganizzazione dell’attaccamento, fattori genetici, sociali e fattori relativi a particolari modalità di  comunicazione all’interno della famiglia ma, sicuramente, tra i fattori ambientali, la disorganizzazione dell’attaccamento sembra essere quell’elemento che unisce in un’unica trama tutte queste manifestazioni emotive e comportamentali, apparentemente molto diverse tra loro. Questa trama è costituita dalle dinamiche di interazione tra il genitore con lutti e traumi irrisolti e il suo bambino

Ogni volta che l’individuo con disturbo borderline sperimenta un disagio o un momento di vulnerabilità, si confronta con un’idea di sè e dell’altro che oscilla tra i ruoli di salvatore-persecutore-vittima, per cui l’interazione con le persone a cui dovrebbe chiedere aiuto diventa molto intensa o in senso positivo (altro salvatore) o in senso negativo (altro persecutore o vittima), inoltre compare il timore di vivere terrificanti stati alterati di coscienza poiché, per la mente, è impossibile gestire contemporaneamente più rappresentazioni incompatibili tra loro. Per impedire tutto questo, la soluzione è tentare di raggiungere il distacco emotivo o entrare in relazione con gli altri attraverso modalità alternative, rispetto al sistema di “richiesta di cura/offerta di cura” (attaccamento). Le alternative, che consentono più facilmente di uscire dal triangolo “salvatore-persecutore-vittima” possono essere la seduzione, con la comparsa di comportamenti sessuali rischiosi o promiscui) o la competizione (con la comparsa di crisi di rabbia esagerate).

Per lavorare sugli eventi traumatici che questi pazienti spesso riportano e per lavorare sui traumi dell’attaccamento, proponiamo il metodo EMDR che, essendo focalizzato sulle emozioni e sensazioni del paziente, favorisce l’incremento della capacità di riflettere sugli stati mentali propri e altrui e, attraverso la formazione di nuovi collegamenti tra le varie esperienze di vita, permette al paziente di unire in un’unica rappresentazione mentale le diverse e contrastanti  rappresentazioni di sè e dell’altro. Inoltre, per far sí che il paziente borderline riesca a mantenere la continuità del trattamento, riteniamo fondamentale considerare la relazione terapeutica come un’alleanza fra pari, in cui la cooperazione per il raggiungimento di obiettivi condivisi non attiva l’attaccamento con le rappresentazioni vittima-salvatore-persecutore, nè la seduzione, nè la competizione. Per evitare che il terapeuta venga percepito come assolutamente pericoloso (persecutore), impotente (vittima) o onnipotente (persecutore), utilizziamo il modello della co-terapia, in cui il terapeuta individuale comunica e collabora strettamente con un co-terapeuta di gruppo o familiare o con lo psichiatra di riferimento per gli aspetti farmacologici qualora siano indispensabili per garantire maggiore stabilità al paziente .

 

La disorganizzazione dell’attaccamento

 

Tra  il 15 e il 20% dei bambini presenta questa condizione. Le loro figure di accudimento sono disturbate da esperienze traumatiche non elaborate e mostrano imprevedibilità e incoerenza nei messaggi inviati ai loro figli, così come un’incapacità nell’entrare in sintonia con loro. Questi bambini non hanno, quindi, strategie organizzate per far fronte a situazioni che li rendono vulnerabili, bensí appaiono disorientati e mettono in atto comportamenti incongrui.

Il trauma non risolto affiora alla mente in modo improvviso e frammentario. Il genitore che non ha superato lutti o esperienze traumatiche, infatti, tende ad assumere, più volte al giorno, delle espressioni di paura o di fissità di sguardo con mimica immobile e questo è sufficiente a spaventare e, quindi, a disorientare il bambino (genitore spaventato/spaventante). Il bambino spaventato, cerca la vicinanza protettiva del genitore (sistema dell’attaccamento attivo) ma, nello stesso tempo, poiché è il genitore stesso che gli incute timore, ha l’impulso a fuggire o a immobilizzarsi (sistema di difesa arcaico attivo), per cui si trova di fronte al conflitto irrisolvibile della paura senza soluzione e non sa cosa fare.

Questi genitori non riescono ad essere accudenti in modo efficace perché, di fronte alla riattivazione dei propri vissuti traumatici, si attiva in loro stessi il sistema dell’attaccamento e si sentono estremamente vulnerabili e bisognosi. Alcuni di loro, inoltre, diventano imprevedibilmente violenti con i figli, sia a livello fisico che verbale,  (il maltrattamento rientra nei traumi con la T maiuscola), ma non è necessario che questo avvenga perché si produca la disorganizzazione dell’attaccamento e perché si creino delle rappresentazioni di sè e dell’altro multiple, simultanee ed incompatibili nella mente del figlio.

Riprendendo l’esempio del bambino che viene accudito dal genitore assorbito dai propri traumi e, quindi, da un genitore amimico o francamente spaventato, il piccolo attribuirà a se stesso la causa della paura dell’altro (sè persecutore, altro vittima) ma, contemporaneamente, vedrà il genitore come causa della sua paura (sè vittima, altro persecutore). Allo stesso tempo, vedrà il genitore che, nonostante tutto, si prende cura di lui (sè vittima, altro salvatore) e che, grazie alla sua vicinanza, può confortarsi (sè salvatore, genitore vittima). Infine, il bambino può rappresentare sia se stesso che il genitore, in balía di una minaccia invisibile (sè vittima, altro vittima). La simultaneità di tali rappresentazioni non può essere gestita dalla mente, per cui si creano dei ripetuti micro-processi dissociativi (piccoli episodi di distacco dalla realtà), che portano a non regolare le emozioni e impediscono di sviluppare fiducia in sé e nelle relazioni con gli altri, per cui diventa molto difficile mantenere un legame affettivo nel tempo.

Le persone con disorganizzazione dell’attaccamento, inoltre, non riescono a monitorare a ad attribuire il giusto significato a quello che avviene nei pensieri e nei sentimenti propri e altrui. Per descrivere queste difficoltà relazionali, i teorici dell’attaccamento utilizzano il costrutto del triangolo drammatico di Karpman. Karpman teorizza che, nelle relazioni, i membri interpretino tre ruoli diversi: il Salvatore, il Persecutore e la Vittima. La loro relazione è reciproca, giacché la presenza dell’uno implica la presenza degli altri, per cui se è presente uno, sono presenti anche gli altri.

In presenza di una situazione ambientale che richiama alcuni aspetti del trauma, queste informazioni dissociate – fatte di immagini, pensieri negativi su di sé, emozioni e sensazioni fisiche disturbanti – emergono sotto forma di sintomi post-traumatici (flashbacks, incubi, agitazione) oppure sotto forma di sintomi che possono appartenere ad altri disturbi (per es. crisi di ansia alla separazione da figure di accudimento nel bambino o attacchi di panico nell’adulto), o ancora attraverso la somatizzazione (per es., dolori addominali, cefalea). Per lo stesso motivo, questi individui sono particolarmente reattivi a traumi e perdite, che hanno difficoltà a superare, poiché si attiva l’attaccamento e, quindi, le rappresentazioni del triangolo drammatico che impediscono di identificare una fonte efficace di aiuto e di giovarsene.

La disorganizzazione dell’attaccamento rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo del Disturbo Post-Traumatico da Stress, ma anche di altre psicopatologie, come il Disturbo Borderline di Personalità ( mettere  link a disturbo borderline ) , i disturbi dissociativi, i disturbi della condotta alimentare caratterizzati da un’importante dispercezione corporea e alcune forme di Disturbo di Panico e di Disturbo Ossessivo-Compulsivo, in cui prevale la dissociazione.

Bibliografia

Liotti G. (1999). Il nucleo del disturbo borderline di personalità: un’ipotesi integrativa. Psicoterapia, 5, 16/17: 53-65, Ed. Moretti & Vitali, Bergamo.

Liotti G. Farina B., Rainone A., a cura di (2005). Due terapeuti per un paziente. Dalla teoria dell’attaccamento alle psicoterapie a setting multipli. Ed. Laterza, Bari.

Liotti G., Farina B. (2011). Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa. Ed. Raffaello Cortina, Milano.